“Acqua, acqua ovunque,/ Né una goccia da bere”. Questo famoso verso, pronunciato dal marinaio perduto nel poema The Rime of the Ancient Mariner di Samuel Taylor Coleridge, riassume una delle difficoltà fondamentali della vita in mare: gli esseri umani hanno bisogno di acqua per sopravvivere, ma l’acqua del mare è troppo salata per essere bevuta. Infatti, la maggior parte della Terra è coperta da acqua non potabile; gli oceani coprono il 70% della superficie terrestre e rappresentano circa il 97% di tutta l’acqua. Il contenuto medio di sale nell’acqua degli oceani è di 35 parti per mille, che – anche se non sembra molto – equivale a 120 milioni di tonnellate di sale per miglio cubo di acqua marina. E ci sono circa 332.519.000 miglia cubiche (1.386.000.000 km cubici) di acqua nell’oceano. Da dove viene tutto questo sale?
Viene dalla terra, principalmente. Quando la pioggia si forma e cade nell’aria, accumula anidride carbonica dall’atmosfera, facendola diventare leggermente acida. Poi scorre sulla terra, erodendo le rocce e raccogliendo piccole quantità di sale e altri minerali disciolti. A questo punto, l’acqua è ancora fondamentalmente dolce; c’è del sale in essa, ma di solito non abbastanza da renderla imbevibile. Alla fine, però, la maggior parte dell’acqua piovana trova la sua strada verso l’oceano. Una volta arrivata, alcuni dei minerali disciolti – come il calcio – vengono rimossi dall’acqua da processi biologici, ma il sale tende a rimanere. Un ulteriore sale è apportato dall’attività idrotermale e vulcanica sottomarina.
L’idea che il sale sia stato gradualmente depositato in mare dai fiumi fu suggerita per la prima volta dall’astronomo britannico Edmond Halley nel 1715. Halley fece un passo avanti nella sua osservazione e propose che la salinità dell’acqua di mare potesse servire come una specie di orologio che poteva essere usato per determinare l’età dell’oceano (e quindi, suppose, della Terra). Egli ragionava sul fatto che dividendo il volume totale dell’acqua dell’oceano per la velocità con cui il sale si depositava nell’oceano, avrebbe mostrato quanto tempo era occorso all’oceano per raggiungere il suo attuale livello di salinità. Le tecniche di misurazione non erano abbastanza precise per eseguire il calcolo ai tempi di Halley, ma il fisico irlandese John Joly ci provò nel 1899, arrivando a una stima di 90 milioni di anni. (Tecniche più avanzate rivelarono in seguito che si trattava di una grande sottostima; l’età reale è più simile a quattro miliardi). Sfortunatamente, lo schema di Halley era stato difettoso fin dall’inizio; tra gli altri problemi, non aveva tenuto conto del fatto che parte del sale marino viene sequestrato sotto forma di depositi minerali sul fondo del mare.